FESTINO DI S. ROSALIA
Solenne Pontificale
L'omelia dell'Arcivescovo S. E. Don Corrado Lorefice
Chiesa Cattedrale, 15 luglio 2016

Un filiale, affettuoso saluto a Lei, Eminenza, che ci onora oggi della sua presenza. Un fraterno saluto a voi carissimi confratelli nell'episcopato che oggi ponete questo segno di amicizia e di comunione con la nostra Chiesa palermitana. Un saluto anche a Lei carissimo padre Abate per questa presenza così significativa, e a voi carissimi confratelli presbiteri e diaconi, un saluto gioioso, affettuoso, sincero, sentito. Un caro saluto a voi rappresentanti delle istituzioni civili e militari, in particolare a lei Sig. Sindaco che oggi rappresenta in mezzo a noi l'intera città di Rosalia.

La bellezza di Rosalia continua ad emanare dal suo cuore verginale, da quell'uomo interiore del suo essere sempre protesa alla conoscenza di Cristo Gesù suo Signore come ci ricorda Paolo nella lettura che abbiamo ascoltato. La conoscenza e la pienezza di Dio in lei ha esaltato la sua personalità, la sua femminilità. L'ha resa ancor più bella: era già bella ma l'ha resa umanamente e interiormente più bella. Per questo Rosalia, emanando bellezza, ha tracciato e continua a tracciare solchi di bellezza umana, di splendore, di bene, di armonia.

Il Vangelo che è stato proclamato fa trapelare che nella comunità dell'evangelista Matteo si sentiva il ritardo del ritorno del Signore, della parusia. La venuta del Figlio dell'uomo superava le umane previsioni. Dunque, poteva essere solo atteso nella vigilanza, con la perseveranza nel bene, con la fedeltà alla sua Parola, e pazientemente. Oggi noi riconosciamo queste pagine bibliche come Parola che si incarna in mezzo a noi, Parole del Verbo incarnato, del Figlio di Dio, dello Sposo che continua a cercarci per dire ancora una volta che siamo noi la diletta del Suo cuore.
Le pagine bibliche ricalcano il profilo umano e spirituale di Rosalia e per questo diventano anche appello per la nostra amata Chiesa palermitana e per la nostra stessa città.

Nella parabola che abbiamo ascoltato, la vita umana è comparata a un'uscita in vista di un incontro. Lo stesso avviene nella Prima Lettura tratta dal Cantico dei Cantici: questa spasmodica ricerca dell'amato, dell'amata... e non si va dunque verso il nulla ma verso un abbraccio con qualcuno. Uscire incontro è incontrare qualcuno, aver riconosciuto qualcuno e dunque accoglierlo sia esso un sovrano che uno sposo, ma accoglierlo perché lui si riveli, accoglierlo nella sua parousia, per una appartenenza d'amore reciproca e complementare.

Anche Paolo ci fa notare il suo profondo desiderio, nella sua più profonda intimità, dando voce quasi alla nostra santa Rosalia quando afferma: "Perché io possa conoscere Lui, la potenza della Sua resurrezione, la partecipazione alle Sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti”.

Nel Vangelo, poi, la lampada accesa è quasi un rimando a quello che è il ruolo, il compito attivo di ogni essere umano, che si è fatto discepolo di Gesù, nel suo rapporto con gli uomini e con Dio. C'è chi vive solo in funzione della brama dei beni immediati e nella voracità della soddisfazione del bisogno istantaneo, mancando di una visione profonda della vita, quasi una sorta di superficialità nella quale alberga a volte l'esistenza, altri invece sono capaci di lungimiranza e di discernimento e dunque di profondità, di intelligenza.

Alimentare la lampada è ciò che fanno le vergini sagge! E’ bello l’uso del verbo proneo: pensare, sentire. Potremmo dire avere capacità di discernimento, d’intelligenza, di una lettura più profonda delle cose. Le vergini si procurano olio di riserva, e qui è chiaro il rimando a quel brano conclusivo del discorso della montagna nell'evangelista Matteo. L'uomo saggio, se vi ricordate, è l'uomo che costruisce la casa sulla roccia e non sulla sabbia. Vi è quasi la stessa chiamata: "Signore! Signore!" ma "Non chiunque mi dice Signore, Signore…" E abbiamo sentito che le vergini stolte incominciarono a dire: “Signore, Signore aprici!” ma “ Non chiunque mi dice Signore, Signore entrerà nel Regno…”

E’ significativo che le vergini dormono tutte e dieci, dunque la differenza è posta in questa intelligenza, in questa lungimiranza, direi in questo discernimento preventivo. Il grido è espressione di un’urgenza, lo abbiamo sentito nel Cantico dei Cantici nella ricerca spasmodica dell'amato e dell'amata, espressione di un'urgenza ma anche grido che dice il giubilo della festa, della gioia, della pienezza. Nel pieno della notte c'è bisogno di olio, e per questo bisogna preparare le lampade.

È bello che l'evangelista utilizzi il verbo cosmeo, che rimanda a Rosalia, utilizzato a proposito delle lampade che bisogna preparare, mettere in ordine. Tale verbo richiama certamente l'idea dell'ordine e quindi anche dell'armonia, della bellezza.

Rosalia: questa giovane donna di luminosa bellezza da custodire fino all'arrivo dello sposo. Questa donna, dunque, si prepara e si preoccupa di custodire la bellezza, non facendosi sviare e deturpare da nessuno. Donna determinata che non distoglie lo sguardo dall'Amato. “Non vi conosco!”, sentiranno dire dallo sposo le vergini che sono arrivate in ritardo. E questa affermazione perentoria, in fondo, è la conferma che non c'è un vincolo di amore anzi c'è mancanza di amore…

Qui, oggi, siamo a guardare lei, Rosalia, che ha custodito l'amore. Si tratta di non far spegnere l'amore e dunque di essere determinati, perseveranti. Per questo bisogna munirsi di olio, resistere fino alla fine e l'olio è la cura, è la premura. L’olio significa che c'è qualcuno finalmente nel mio cuore e che c’è definitivamente. L'olio dice che c'è una relazione definitiva, e questa è la relazione che il Signore chiede alla sua Chiesa, a noi, ai suoi discepoli per questo l'olio non si può prestare: non è un atto di egoismo da parte delle vergini sagge. Si deve avere l’olio dentro, non si può prenderlo da un altro, deve scaturire da una libera, consapevole scelta: la scelta della relazione e della relazione di amore. Si sceglie di misurarsi con qualcuno che diventa il desiderato, l'amato e quindi l'olio scaturisce dall'uomo interiore, dall'uomo vigilante che conserva un senso profondo delle cose, della storia umana letta a partire dal Regno di Dio, che non perde di vista ciò per cui è stato fatto perchè è l'olio che tiene acceso l'amore. Non un cuore girovago, immaturo, superficiale o narcisista, ma un cuore che custodisce il vero desiderio umano di accogliere e donarsi.

Un cuore divenuto adulto e dunque bello come quello di Rosalia con una vita donata, come ci ricorda Paolo nella seconda lettura, una vita conforme alla morte di Cristo. Questo significa conforme alla morte di Cristo: l'uomo che dona la vita. Dunque una vita libera dai ripiegamenti egoistici: "Quello che per me poteva essere un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo". Paolo si spinge fino a utilizzare un termine forte: "schiubala", che significa sterco. Ha considerato tutto “sterco” pur di guadagnare la conoscenza del Signore, una vita bella, capace di irradiare bellezza, luce, bene, redenzione, liberazione, guarigione, pace, risurrezione.

Solo uomini e donne interiormente belli possono costruire una chiesa bella, umile lievito di una città degli uomini bella e da non deturpare. Palermo, voi lo sapete, dai Cartaginesi è chiamata Ziz, fiore bello. Rosalia è una donna bella. L'uomo interiore che rende bella una vita è l'uomo abituato a vivere nel mondo a partire dalle cose definitive, dalle nozze eterne del regno, dalla pienezza di Dio e del suo regno, a partire, insomma, dalla relazione con il Signore. L'uomo e la donna vivono nella costante memoria della Pasqua del Signore: " Mi ha amato e ha dato la vita per me" . Colui che non assolutizza ma che usufruisce delle cose del mondo: direi che oggi è questa la questione, il nodo fondamentale dell'esistenza. Non assolutizzare ma usufruire delle cose del mondo, e Rosalia in questo resta maestra. L'uomo interiore tiene desta l'attesa della venuta del Signore, che tanto ha amato il mondo da dare la Sua vita, che con la Sua Pasqua ha inaugurato i tempi nuovi.

Attendere il Signore significa non spegnere l'amore, custodire l'entusiasmo per la vita, lavorare nel cantiere di questo mondo in vista del compimento dei cieli nuovi e della terra nuova. Lavorare perché in questo mondo non ci sia più la peste del terrorismo di matrice pseudo-religiosa, come a Dakar o come stanotte a Nizza. Perché non ci siano più poteri occulti mafiosi che rendono povera, dipendente la nostra città, e brulli i nostri monti, persino il monte Pellegrino, quel dirupo che ha scelto di far diventare come sua dimora la nostra Santuzza, per cui oggi, carissimi, Rosalia ci ricorda: "Lavoriamo insieme, non stanchiamoci, tanto meno non deresponsabilizziamoci perché questa era la tentazione della comunità matteana: il Signore ritarda, allora che facciamo? Ci scoraggiamo? Rinunziamo? No! carissimi, continuiamo a lavorare insieme perché anche se ritarda, lo Sposo arriva, il Signore viene Rosalia ce lo assicura, per cui vigiliamo, rimaniamo capaci di discernimento, custodiamo la bellezza interiore della vita, costruiamo insieme una città bella, sostenuta, supportata da una Chiesa bella. Presto sentiremo un grido " Ecco lo sposo!" E sarà sempre festa, anzi un “Festino”, quello che abbiamo vissuto in passato e viviamo in questi giorni. Che sia un preludio della festa eterna!