393° FESTINO DI S. ROSALIA
CELEBRAZIONE EUCARISTICA AL COMUNE
L'omelia dell'Arcivescovo S.E. Don Corrado Lorefice
Palazzo delle Aquile, 13 luglio 2017

Esprimo la mia profonda gratitudine per questo ennesimo gesto di ospitalità in questa casa così significativa per la città di Palermo. La mia gratitudine in particolare al sig. Sindaco e attraverso di lui anche a quanti, servitori delle istituzioni civili e militari, siete qui convenuti in segno di appartenenza a questa città come segno del servizio consapevole che voi esprimete a nome delle istituzioni non per voi stessi ma per i volti concreti, i volti di quanti ci sono stati affidati, dei nostri concittadini, i volti dei palermitani. Ognuno di noi è qui per questa consapevolezza. Siamo stati chiamati a servire le case di questa città, le case che vengono abitate dagli uomini e dalle donne, dai piccoli, dai grandi, dagli anziani, dai giovani, che custodiscono nel cuore il desiderio di una vita felice, della convivenza umana nel segno della pace e della legalità. Desiderio di una vita che può afferire a quelle che sono le esigenze più ordinarie, più feriali che nutre il cuore di ogni uomo: dal pane alla casa, al desiderio di relazioni vere, autentiche, familiari, civili, sociali che possano fare elevare l’animo umano. E con questa consapevolezza allora la mia gratitudine perché ancora una volta  questa nostra concittadina, per noi cristiani, è un fulgido esempio di vita di fede, di vita di speranza, di vita di carità. Rosalia ci raduna, e ci raduna facendoci guardare ancora una volta a quello che è il cuore della fede cristiana.

Oggi le letture, in particolare il Vangelo, ci ricordano che i cristiani attendono un compimento della storia. Questo capitolo 25 del Vangelo di Matteo si comprende nella misura in cui capiamo che i primi cristiani vedono che l’attesa del ritorno del Crocifisso risorto, e dunque per loro del Messia, è un’attesa che va incontro ad un ritardo, eppure è certa la fede. Il Signore ritornerà per dare compimento alla storia, per essere il Signore della storia. Per i cristiani la storia va verso un compimento, non è un ripetersi di tempi ma è il compimento del tempo, della storia degli uomini in dimensione messianica e dunque in dimensione di riscatto della storia degli uomini dal male. Vi ricordo che è nello stesso capitolo in cui Gesù dirà che il giudizio della storia è il compimento della storia. Non dimentichiamo che nella storia ci sono le vittime che gridano giustizia verso Dio, e il compimento della storia in termini di giudizio in fondo si baserà essenzialmente sul fatto che noi siamo stati capaci di riscattare la sete di chi ha sete, la fame di chi ha fame. Gesù dirà: “Avevo fame, avevo sete, ero forestiero, ero prigioniero e mi avete dissetato, mi avete sfamato, mi avete accolto, mi avete visitato”. È il capitolo dunque in cui è chiara questa fede dei primi discepoli. Il Signore ritornerà e la misura del suo ritorno che è il giudizio si baserà su come siamo stati capaci di incidere nella vita di altri che avevano fame, che avevano sete, che avevano bisogno di essere accolti, eppure c’è un ritardo. E Matteo consegna a noi questa parabola delle vergini, dieci vergini e pensate come sia efficace, da questo punto di vista, l’immagine del banchetto nuziale a partire dalla tradizione, nella cultura del tempo dello sposalizio: lo sposo va incontro alla sposa e la sposa viene con le amiche, con le vergini. Qui la sposa è assente, forse volutamente, perché la sposa è la comunità cristiana che attende il ritorno del Signore e quindi c’è una indicazione che sta dentro questo ritardo con sapienza.

“Una voce, il mio diletto” e qui vorrei realmente riprendere proprio questo aspetto: ci sono cinque vergini che parlano, cioè sono letteralmente fatue, stolte, cioè colgono il messaggio, sanno che c’è uno Sposo verso il quale bisogna andare, che bisogna attendere. Sono fatue, parlano, parlano e non prendono con sé olio. Direi quasi che il testo ci suggerisce una sorta di superficialità, e poi c’è una sorta  di fretta, un non andare in profondità, non prendere con sé scorta d’olio. C’è un ritardo, sopraggiunge qualcosa di inaspettato. Come si può rimanere in superficie rispetto a Colui che deve essere accolto? E poi ci sono le vergini prudenti che prendono con sé anche una scorta di olio, vergini dunque che custodiscono un desiderio profondo. Vi ricordo l’anno scorso - da quello che ho sentito anche durante la conferenza stampa per questo Festino 393°- forse dalle mie parole di rilettura del testo del Cantico dei Cantici veniva fuori anche il tema della “leggerezza”, se vi ricordate: “Alzati, alzati Palermo perché il tuo inverno è finito”, e penso a queste vergini prudenti, sapienti capaci di discernimento, in fondo capaci di custodire un desiderio vero e profondo che va tenuto desto, cioè di una attesa. Mi piacerebbe allora custodire l’attesa di Palermo, e noi in questo nostro raduno in questa casa siamo costituiti per custodire il desiderio di un incontro. Certo, i cristiani stiamo nella città degli uomini sapendo che questa città deve essere riscattata dal male ecco perché custodiamo il desiderio del ritorno del Signore. In termini anche di impegno civile, di  impegno sociale significa che noi siamo chiamati a custodire in profondità il desiderio di una città che viene riscattata da tutto quello che la opprime, che potrebbe rimandare  addirittura ad una oppressione. Forse potete ben capire a che cosa voglio alludere, al di là di una lettura immediata che si può fare dell’ultimo gesto così nefasto che è stato consumato nella nostra città. Nel momento in cui noi invece celebriamo martiri della giustizia, il martirio di uomini che hanno custodito – innanzitutto nel loro cuore – il desiderio e lo hanno fatto, lo hanno custodito a nome anche di una città che ha tutto il diritto di attendere un riscatto. Per questo noi oggi siamo qui.

Se vi ricordate, la prima volta che mi avete ricevuto con molto affetto vi ho detto in tutta schiettezza: non siamo qui per fare una parata. Nessuno di noi oggi si può permettere il lusso di vivere formalmente questo incontro. Io vi ringrazio per questo invito, vi ringrazio anche per l’affetto e la stima che colgo in ciascuno di voi, nelle istituzioni che voi rappresentate. Noi siamo qui perché dobbiamo mantenere in noi vivo il desiderio, che affido a un uomo sapiente, che come Rosalia è stato capace di vivere nelle fenditure della roccia, nelle fenditure della storia degli uomini. Quel ritirarsi di Rosalia sulla Quisquina piuttosto che sul Monte Pellegrino dentro quella fenditura della roccia non è una alienazione, è invece abitare dentro i meandri della storia umana, e abitarli con questa capacità di prudenza, di vigilanza, di una parola sapiente rispetto a quella storia su cui addirittura abbiamo delle responsabilità. Nessun cittadino è escluso dall’avere una responsabilità nei confronti di questa città, a maggior ragione l’abbiamo noi rappresentanti delle diverse istituzioni. Ognuno di noi ha un compito fattivo che deve nascere da questo abitare le fenditure della storia, da dentro, assumerla direi in tutta la portata che ha questa immagine. Una spelonca è qualcosa che ci chiede anche di andare in profondità verso ciò che ha bisogno di essere letto, ciò che immediatamente non è decifrabile e quindi vivere anche nella fragilità di una compromissione totale dentro la storia degli uomini ma vivere con questa consapevolezza: che proprio abitando questa fragilità come ci ha insegnato Rosalia, noi possiamo realmente incidere perché possiamo essere tutti pronti. E io ne sono convinto! È compito del Vescovo far guardare lontano, far guardare la storia degli uomini alla luce di ciò che crede, e io da Vescovo sono testimone di un compimento della storia. Io non posso non guardare la storia e non perché sono un illuso o un alienato ma in quanto la guardo con gli occhi della Pasqua di Cristo, quel Cristo che per Rosalia è diventato anche Sposo e sul quale ha concentrato tutta la sua esistenza. E guardando la storia a partire dalla Pasqua di Cristo non posso non dire appunto che c’è un annunzio: “Ecco lo Sposo, andategli incontro..”, e se arriva lo Sposo ci introduce nella festa nuziale e quindi  nella storia riscattata dal male, quella storia degli uomini che è vocata come storia di felicità.

Vorrei allora oggi assumere, ancora una volta, la testimonianza di Rosalia: una vergine che ha con sé una buona scorta di olio e che oggi ci richiama anche ad averne noi, a rimanere dentro la storia degli uomini con sapienza, a parlare e a esprimere una parola che nasce da questa capacità di assunzione della storia. Una parola libera, una parola che soprattutto coincide con la concretezza di quello che è il compito che la storia ha affidato a ognuno di noi, a ogni cittadino che eventualmente in questa casa viene rappresentato e che soprattutto conosce la fatica della storia sulla sua stessa carne. Noi abbiamo il compito di far sì che questa città cresca e vada incontro ad un compimento salvifico di liberazione e di riscatto. A noi allora il compito di custodire questo olio e di averlo dietro a noi, e per questo allora mi sento di vivere insieme a voi la festa di questa santa, a viverla come festa di Palermo con intensità e con responsabilità.

Che il Signore custodisca in ciascuno di noi questo olio, perché ognuno di noi sia un artefice creativo della rinascita di questa città. Se in essa ci sono ancora i segni della stoltezza umana, dell’insipienza umana, se in essa ancora cogliamo segni che possono imprimere le coscienze dei cittadini, in essa oggi siamo chiamati a saper cogliere anche i segni di una rinascita che è in atto, perché Palermo è dei palermitani e nel cuore dei palermitani più veri c’è l’amore a questa città, alla città di Rosalia, alla città per la quale Rosalia continua ad effondere tutte le sue grazie perché sia sempre di più riscattata dal male.

Viviamo questo Festino 393° come un segno.

In questi giorni sono stati posti ancora segni di distruzione e penso a quella immagine di quel busto decapitato, penso all’immagine ancora una volta come l’anno scorso di questi roghi che stanno distruggendo i posti più belli della nostra Sicilia. Per questo vi vorrei invitare a vivere questa festa come un segno di speranza perché Rosalia ci sta ricordando che dobbiamo ritornare ad essere sapienti, e l’uomo sapiente è l’uomo e la donna che riescono ad assumersi fino in fondo le proprie responsabilità, a proferire una parola che è nata dal lavorìo e a proferirla come parola che è capace di interpretare la storia degli uomini e a incidere in essa in dimensione di liberazione e di riscatto. Amen.